Care Giovani,
nel cammino che ci sta conducendo a incrociare le vite di alcune sorelle elisabettine nei luoghi in cui vivono e nelle attività attraverso le quali esprimono l'”amore operativo” secondo il carisma di madre Elisabetta, oggi incontriamo suor Marita Girardini, insegnante nella scuola primaria paritaria “Elisabetta Vendramini” di Padova.
A lei abbiamo chiesto di raccontarci come è nata la sua vocazione e come la esprime quotidianamente dedicandosi ai suoi alunni.

Suor Marita, che cosa ti ha spinto a rispondere “sì” alla chiamata di Dio?
Non è stato facile e semplice rispondere sì alla richiesta di Dio di seguirlo ed essere completamente per lui, Suo cuore, Sue mani, Sua voce tra la gente del mio e nostro tempo.
Non è stato né facile né semplice perché tante erano le cose che facevo e che avevo che mi sembrava mi rendessero felice.
Non è stato né facile né semplice lasciare la mia famiglia, i miei amici, il mio gruppo scout…erano la mia vita, il mio orizzonte di realizzazione.
Non è stato né facile né semplice, ma non ho potuto dire “no” dopo che avevo incontrato e avevo visto il volto nei piccoli soli della comunità alloggio delle suore di Maria Bambina a Vicenza. Non ho potuto dire “no” a un Dio che mi aveva dato fiducia e che mi chiedeva di dargli una mano nella cura dei suoi piccoli e poveri della terra.
Non ho potuto e ancora oggi non posso dire: “Lasciami stare che ho altro da fare!”.
Se il mio Dio, il nostro Dio, si è fidato di me, di noi, e mi ama così con i miei pregi, ma anche con i miei limiti e le mie povertà (e sono tante…), che motivo avevo per dire: “No, ho altro da fare arrangiati”?
Non si può dire di “no” a uno che chiede. Il ragazzo del Vangelo di Giovanni aveva solo 5 pani e 2 pesci, ma con Gesù sono diventati possibilità per molti.
A Gesù non si può dire no… l’alternativa a Lui è la tristezza…e io non volevo certo averla a vita! La gioia è un dono grande che il Signore ci dà, perché rifiutarlo?

Tra le varie attività in cui sei chiamata a vivere la tua vocazione, un ruolo significativo è ricoperto dall’insegnamento. Qual è l’aspetto di Gesù Maestro che ti affascina maggiormente?
Se penso che Gesù dice: “Non fatevi chiamare maestri perché uno solo è il vostro maestro”, un po’ mi sento imbarazzata pensando a quando tanti miei bambini a scuola mi chiamano” maestra”, ma riconosco anche che grande è la responsabilità che il Signore mi ha affidato.
Ecco allora che sento affascinante più che mai il Gesù maestro che sta con tutti, che dà a ciascuno il proprio posto, che si china sui piccoli, i poveri, che sta con loro, li ama così come sono, cerca di far emergere ciò che portano dentro perché la loro vita sia vissuta in pienezza. Non è sempre facile essere mani e cuore del Maestro, la voglia di fare tu, di emergere ed essere al primo posto a volte prevale su tutto, ma è importane ricordarmi che uno solo è Il Maestro ed è importante guardare a Lui per imparare ad insegnare.
Mi affascina come Gesù si prende a cuore le situazioni delle persone e gli propone un’altra possibilità di vita: è una sfida che il Signore oggi mi pone davanti.

Puoi spiegarci che cosa significhi per una suora elisabettina inserita nella scuola “istruire e cavare anime dal fango”?
Per me essere oggi significa fare i conti con questa sfida che il Signore mi fa quotidianamente: prendere a cuore, entrare nelle situazioni piccole o grandi dei miei bambini, di quelli che mi ha affidato e delle loro famiglie, e in quella situazione che stanno vivendo cercare una possibilità di vita bella e gioiosa.
Mi trovo oggi sempre più spesso di fronte a bambini che vivono sulla loro pelle situazioni più grandi di loro, bambini più responsabili dei loro genitori, che fanno da mamma ai loro fratellini più piccoli e di loro nessuno si cura. Vedo bambini che vivono la relazione con i compagni e l’essere a scuola come momento liberatorio, momento in cui possono essere bambini. Vedo bambini che di fronte alla domanda dell’adulto si zittiscono, non rispondono, si fanno piccoli piccoli tanto da voler sparire. Vedo bambini in ansia perché le aspettative dei genitori su di loro sono alte. Sono bambini e hanno tutto il diritto di vivere da bambini.
Vedo bambini in grossa difficoltà cognitiva che arrancano, genitori che non accettano le loro difficoltà e chiedono che il loro bambino abbia le stesse cose degli altri.
Fare i conti con la rabbia, con il silenzio, con il doppio gioco degli adulti a scapito dei bambini a volte mi fa sentire impotente. Allora il farsi carico, il sostenere il bambino, cercare di capire il suo mondo dando ascolto e tempo oltre che mezzi è l’unica cosa che mi resta da fare oltre che a dare quell’istruzione di significato comune.
Prendere a cuore e cercare con e per ogni bambino una possibilità di vita bella e gioiosa. È questo per me il significato di “istruire e cavar anime dal fango”.

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